Daniel Bensaïd ovvero la classe fuori dal mito

Felice Mometti

Gli anni 80 sono stati quelli del riflusso dopo la fine del ciclo di lotte iniziato nel ’68. Sono stati anche gli anni della riflessione, di un pensiero che ritorna ai fondamenti nel pieno dispiegarsi dell’epoca neoliberista. Daniel Bensaïd e un gruppo di studenti, di una dozzina di nazionalità, dell’Università di Parigi VIII si dedicano “contro venti e maree” a organizzare dei corsi di lettura del Capitale, dei Grundrisse e delle Teorie del plusvalore di Marx: « Era dunque giunta l’ora di armarsi di una lenta impazienza, di ispezionare le fondamenta, e (ri) leggere Marx. Non un Marx di seconda mano, filtrato attraverso i suoi lettori illustri. […] Di rileggerlo non per effettuare l’ennesimo ritorno, ma per rimanergli fedele imparando a resistergli […] Occorreva per questo sottoporre l’eredità alla prova di un mondo che si sbriciola via via che di mondializza, delle nuove dominazioni imperiali e delle identità ambigue, delle sfide ecologiche e bioetiche, della democrazia partecipativa al tempo della rivoluzione dei mezzi di comunicazione. » [Daniel Bensaïd, Una lenta impazienza , Alegre, 2012.]

Era giunta l’ora di rimettersi in viaggio con un bagaglio leggero, ma essenziale. Facendo l’inventario di un’eredità senza istruzioni per l’uso, comparando le diverse ricezioni di Marx nelle culture politiche a livello internazionale, sprovinciliazzando il marxismo francese, ma il discorso vale anche per i marxismi di altri paesi, “meticciandolo” a contatto con altre tradizioni. I primi risultati si hanno nel 1994 con la pubblicazione, con postfazione di Bensaïd, del libro di Stavros Tombazos Le Temps dans l’analyse économique. Les catégories du temps dans Le Capital e nell’autunno del ’95 con la pubblicazione simultanea di due testi di Bensaïd, Marx l’intempestif e La discordance des temps. Essai sur les crises, les classes, l’histoire. Uno dei temi della ricerca, accanto a parecchi altri, è la natura e la definizione del concetto di classe. Un terreno incrostato da facili formulette e visioni autoconsolatorie.

L’impotenza delle formule

Il punto di partenza di Bensaïd è quella che definisce una suspense che mozza il fiato: l’improvvisa interruzione del capitolo sulle classi nel Capitale di Marx: « Le pagine interrotte del Capitale lasciano aperte molte questioni, gravide di conseguenze quanto alla comprensione dell’evoluzione delle classi nella società a capitalismo avanzato (delle loro trasformazioni e evoluzioni interne) e di quella delle società non capitaliste (o burocratiche), spesso ridotta a caratterizzazioni formali ora dal primato dell’economia (piano contro mercato), ora dal primato della politica (“la dittatura del proletariato”), ora da una sociologia approssimativa (“Stato operaio”). » [Daniel Bensaïd, Marx l’intempestivo , Alegre 2007.]

Da questo punto di vista, per Bensaïd, l’esercizio compiuto da Ralf Dahrendorf di ricostruire il probabile contenuto del capitolo interrotto a partire dalle briciole e dai frammenti prelevati dai capitoli precedenti del Capitale, e da altri scritti di Marx, non risulta per nulla convincente. Non convincono nemmeno le formulazioni di Labriola o del Lukacs di Storia e coscienza di classe che approdano l’uno al mito di un “proletariato inevitabilmente rivoluzionario” e l’altro a un proletariato “al tempo stesso, soggetto e oggetto della propria conoscenza”. Insomma un proletariato ridotto in un caso, Labriola, a una questione di meccanica elementare e nell’altro, Lukacs, sussunto dal partito che diviene “la forma della coscienza proletaria di classe” dove questa coscienza è “l’espressione di una necessità storica”. Per Bensaïd l’alternativa non sta tra meccanicismo ed hegelismo ortodosso: « I Grundrisse e il Capitale si presentano al contrario come una elaborazione del lutto dell’ontologia, come una deontologizzazione radicale, dopo la quale non c’è più posto per nessun al di là, di nessun tipo, per nessun doppio fondo, per nessun dualismo tra autentico e inautentico, tra scienza e ontologia. Non c’è più un contrasto fondativo tra essere e ente, più niente dietro cui si nasconda ancora un’altra cosa che non si manifesta. L’apparire della merce, del tempo di lavoro sociale, delle classi è indissociabilmente l’apparire e il travestimento del loro essere: l’essere si risolve nell’ente, l’essenza di classe nei rapporti di classe. Ridotta a una povera incarnazione filosofica, l’oscura rivelazione dell’in sé nel per sé si spegne nella propria impotenza concettuale. » [Daniel Bensaïd, Marx l’intempestivo , pp. 158-159.]

Una citazione lunga e complessa in cui Bensaïd si rifà direttamente al Marx dell’Introduzione ai Grundrisse: non c’è più nulla che non si manifesta nascondendosi dietro un’altra cosa. La facile formuletta del passaggio, più o meno necessitato, dalla classe in sé in quanto insieme sociologico alla classe per sé dotata di coscienza si rivela nient’altro che un’illusione idealista. Certo Marx ne parla, a dire il vero non sempre allo stesso modo, in alcune occasioni fino al 1852, poi non riprende più l’argomento. Qui non si tratta di contendersi la certificazione dell’interpretazione ufficiale degli scritti di Marx, non è questa l’aspirazione e la lasciamo ad altri. Si tratta di individuare quelle piste di riflessione, nel grande cantiere di Marx, che ci permettono di comprendere il farsi delle classi nella produzione sociale del capitalismo contemporaneo. Ed è qui che Bensaïd apre un confronto con Thompson e Bourdieu. Edward P.Thompson affermava che non si può parlare “d’amore senza amanti” né di classi sociali senza attori. La formazione delle classi è un processo attivo, queste non sono sorte “come il sole” in un determinato momento, ma, al contrario sono “parti attive della propria formazione”. Non si tratta né di una struttura immobile né di una categoria definitiva, bensì di un fenomeno storico che non si può arrestare a un momento particolare del suo sviluppo. Pierre Bourdieu distingue la “classe probabile” (la classe teorica, in potenza) dalla “classe mobilitata” o “classe in atto”, così come si manifesta nei suoi discorsi e nelle sue lotte. La sua problematica esclude un’idea sommaria di solidarietà spontanee. La sottigliezza del passaggio dal probabile al mobilitato non risolve, secondo Bensaïd comunque il problema cruciale di capire che cosa determini la probabilità anziché l’improbabilità, della “classe probabile”, e se si tratta in Marx di un enunciato meramente teorico o di un invito ad agire per rendere concreta la probabilità. Bensaïd ritiene invece che il “ragionevole costruttivismo” di Thompson metta lo sviluppo delle tecnologie, delle condizioni e dell’organizzazione del lavoro in rapporto con la formazione di un discorso e di pratiche sociali costitutive della “classe operaia inglese”. Sottolineando che non c’è alcun riflesso deterministico in questo rapporto.

Quindi dov’è la classe ?

In Marx si cercherebbe invano una definizione semplice delle classi: « In altre parole, in Marx le classi fanno la loro apparizione solo all’interno di un rapporto antagonistico reciproco. Si definiscono nella e attraverso la lotta. Ossia la lotta delle classi è una nozione strategica quanto o ancor più che sociologica. » [Daniel Bensaïd, Marx istruzioni per l’uso , Ponte alle grazie 2010.]

E alla classe sfruttata non si attribuisce alcuna missione eroica nel momento in cui la sua coscienza avrebbe raggiunto la sua essenza, “divenendo ciò che è” rivestendo il ruolo di redentrice di tutta l’umanità: « Non c’è nel Capitale una definizione classificatoria e normativa delle classi, ma al contrario un antagonismo dinamico, che prende forma innanzitutto a livello del processo di produzione, poi del processo di circolazione, e infine della riproduzione collettiva. Le classi non sono definite dal solo rapporto di produzione nell’ambito dell’impresa. Sono invece determinate nel corso di un processo nel quale vanno a combinarsi i rapporti di proprietà, la lotta per il salario, la divisione del lavoro, i rapporti con gli apparati statuali e con il mercato globale, le rappresentazioni simboliche e i discorsi ideologici. Il proletariato non può quindi essere definito in maniera restrittiva, in funzione del carattere più o meno produttivo del lavoro, che non interviene che nel secondo libro del Capitale a proposito del processo di circolazione. » [Daniel Bensaïd, Gli irriducibili , Aterios 2004.]

Marx, soprattutto nei Grundrisse e nel Capitale, non procede per “definizioni” (per enumerazione di criteri) ma per “determinazioni” (per astrazioni determinate) di concetti che tendono al concreto articolandosi in seno alla totalità. Bensaïd non condivide l’approccio, tanto caro a un certo marxismo strutturalista francese, che separa nettamente un ordine logico – quasi atemporale – del funzionamento del modo di produzione capitalistico da un ordine storico dello stesso che si traduce in una “formazione socioeconomica” genericamente definita più concreta e meno astratta. Per Bensaïd la logica e la storia del capitalismo si collocano entrambe dentro una totalità concreta sempre in divenire. E questo è anche l’ambito delle classi in quanto si determinano reciprocamente e non possono essere l’oggetto di alcuna definizione “inaugurale”.

Il traghettatore

Enzo Traverso nel numero della rivista francese Lignes, dedicato al pensiero di Bensaïd, lo definisce un traghettatore. Colui che si è cimentato nell’adeguamento della teoria alla contemporaneità del capitalismo mettendo in tensione lo stesso pensiero di Marx, non sorvolando le contraddizioni e ambivalenze presenti. Colui che ricomincia nel mezzo e non fa tabula rasa perché essa reca in sé la minaccia dell’arbitrio del « volontarismo burocratico della collettivizzazione forzata in Unione Sovietica, dell’“uomo nuovo” trascritto in bella copia su una “pagina bianca” dal presidente Mao, dell’impossibile “zafra di dieci milioni di tonnellate” nel 1968 a Cuba, dell’evacuazione di Phom-Penh ad opera dei Khmers rossi ». [Daniel Bensaïd, Elogio della politica profana , Alegre 2013.]

Un traghettatore che non dimentica da dove è partito. Nei testi di Bensaïd c’è un passo della Rivoluzione Tradita di Trotskij riferito alle classi, in polemica con la concezione staliniana del partito unico, che ricorre più volte: « Come se le classi fossero omogenee. Come se i loro confini fossero delineati una volte per tutte. Come se la coscienza di una classe corrispondesse esattamente al suo posto nella società. Il pensiero marxista qui non è che una parodia. […] Per la verità, le classi sono eterogenee, dilaniate da antagonismi interni e non arrivano ai loro fini comuni che con la lotta di tendenze, di gruppi, di partiti. […] Non si troverà in tutta la storia politica un solo partito rappresentante un’unica classe, se, beninteso, non si consente a scambiare per realtà una finzione poliziesca. » [Lev Trotsky, La rivoluzione tradita , Samonà e savelli 1972.]

Qui Troskij sembra che si incammini su una strada nuova in cui si intravvede una relazione tra l’eterogeneità incomprimibile delle classi e la necessità del pluralismo politico all’interno di esse. Una strada che non batterà fino in fondo a causa anche delle terribili condizioni degli ultimi anni di vita. Per Bensaïd questa relazione riveste invece un carattere fondamentale se si guarda da entrambi i lati: sia da quello del pluralismo politico che, ancor di più, dall’articolazione della classi. In gioco non c’è solo la pluralità delle rappresentazioni politiche, c’è soprattutto il rapporto tra il politico e il sociale. Riferendosi all’elaborazione di Ernest Mandel secondo il quale: “la concorrenza tra salariati è imposta dall’esterno e non è strutturalmente inerente alla natura stessa della classe. Al contrario, in maniera istintiva e normale i salariati lottano per la cooperazione e la solidarietà collettiva”, Bensaïd ne individua l’insormontabile contraddizione.

« Se è vero che questa tendenza si manifesta in modo ricorrente, non meno permanente, però, è la tendenza contraria alla frammentazione. L’asimmetria evocata considera naturale la concorrenza tra capitalisti e artificiale (imposta dall’esterno) quella tra salariati. Questo vuol dire sminuire la coerenza del modo di produzione, in cui il capitale, in quanto feticcio vivente, detta la sua legge all’insieme della società e tiene inseparabilmente insieme la concorrenza tra proprietari e tra salariati gettati sul mercato del lavoro. Ridurre differenze sociali a volte in conflitto tra loro a semplice “diversità dei livelli di coscienza” rimuove le difficoltà. Mandel giunge così ad avere fiducia nel tempo, grande riparatore e livellatore davanti all’eterno, per appianare queste diversità imponendo una solidarietà conforme alla postulata ontologia del proletariato. » [Daniel Bensaïd, Marx l’intempestivo , p. 197.]

Il viaggio di Daniel Bensaïd attraverso le classi si è bruscamente interrotto quattro anni fa, altri e altre pur con tale mancanza insostituibile, lo proseguono.

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