Nell’epoca delle spoliticizzazioni, in cui la politica viene annientata dal dispotismo del mercato e la democrazia sprofonda nel plebiscito sondaggistico, Bensaïd sente l’urgenza di ridefinire linguaggi, orizzonti e cultura in grado di rifondare la politica nella sua accezione più nobile, la “politica profana”.
Stiamo attraversando una lunga transizione in cui le condizioni spaziali e temporali della politica sono profondamente mutate, l’antico ordine statuale vacilla ma non è abolito, il vecchio Stato sociale degenera in Stato sicuritario e disciplinare, e il popolo dei cittadini si disgrega in gruppi, comunità e tribù. Gli spazi vissuti e gli spazi di rappresentazione non si incontrano più, e lo stesso spazio dell’impresa si frantuma e si segmenta producendo scomposizioni senza ricomposizioni. Questa crisi d’orientamento rivitalizza dottrine religiose minacciando di rovesciare la logica di secolarizzazione tipica della “modernità”. La politica rischia allora di ricadere nel sacro, come abbiamo visto nelle prediche di coloro che hanno dipinto la “guerra globale al terrorismo” come nuova guerra santa, e nella gestione tecnica dell’esistente che finisce per produrre i peggiori fenomeni di burocratizzazione e corruzione.
Per rispondere a questa crisi della politica, l’autore non si accontenta delle proposte postmoderne che facendo l’apologia del “liquido” contro il “solido” rinunciano alle grandi narrazioni. Propone di riattualizzare il concetto gramsciano di “egemonia” per pensare l’unità nella pluralità e per riformulare un progetto politico che sappia rispondere a una crisi storica dell’insieme dei rapporti sociali. Recuperando il legame con la storia, unico in grado di ridare alla politica un orizzonte strategico.
«Dopo la Rivoluzione russa sono crollate molte certezze e credenze. Ma questo non è un buon motivo per dimenticare la lezione del passato. Coloro che vollero ignorare la questione del potere non vi sono comunque sfuggiti: non volevano prenderlo, ma ne sono stati catturati. Coloro che hanno cercato di aggirarlo, di circondarlo, di circuirlo senza provare a prenderlo ne sono stati stritolati: la forza in divenire della “defeticizzazione” non è mai bastata a salvarli. Abbiamo perduto le nostre certezze? Forse. Sicuramente dobbiamo imparare a farne a meno. Il risultato di una lotta è per definizione incerto. Una lotta non è mai vinta in anticipo. In essa si confrontano non vocazioni divine o certezze scientifiche, ma volontà e convinzioni, esposte alle sferzanti smentite della pratica. È il destino di tutta la storia profana: sì all’“apertura all’incerto”, no al grande salto nel vuoto strategico dell’evento mitico assoluto, separato da qualsiasi condizione storica in cui la teologia prevarrebbe nuovamente sulla politica. Il grido non fa la parola.»
Daniel Bensaïd (1946-2010), professore all’Università di Paris VIII, è stato uno dei maggiori filosofi marxisti contemporanei. Ha pubblicato numerosissimi testi, di cui ricordiamo quelli tradotti in italiano: Gli irriducibili. Teoremi di resistenza allo spirito del tempo (Asterios, 2004); Marx l’intempestivo. Grandezze e miserie di un’avventura critica (Alegre, 2007); Chi sono questi trotskisti? Storia e attualità di una corrente eretica (Alegre, 2007); Gli spossessati. Proprietà, diritto dei poveri e beni comuni (Ombre Corte, 2009); Marx, istruzioni per l’uso (Ponte alle grazie, 2010), Una lenta impazienza (Alegre, 2012).