Poco più di sessant’anni dopo la vittoria dell’Ottobre, la vecchia amica, la talpa, scava con la sua instancabile tenacia in Nicaragua. A prima vista, ci sono pochi punti in comune tra la Russia del 1917 e il Nicaragua del 1979. Le differenze saltano agli occhi: la rivoluzione russa sopraggiungeva in un immenso paese in guerra, ai margini di un’Europa imperialista disgregata da tre anni di combattimenti. Disponeva di un’inesauribile riserva umana di milioni di operai e di contadini. Beneficiava della stessa estensione del suo territorio e dell’esplicita possibilità, in piena guerra civile, di “cedere spazio per guadagnare tempo”.
Nulla di simile in Nicaragua: un piccolissimo paese, di appena più di due milioni di abitanti, incastrato tra l’Atlantico e il Pacifico, sotto la diretta sorveglianza del colosso imperialista, ormai dissanguato dalla guerra civile.
Eppure, nonostante il diverso contesto politico, sociologico, geografico, dal punto di vista del percorso e della strategia della rivoluzione il confronto resta pertinente. Paradossalmente, si potrebbe quasi dire che la rivoluzione sandinista si avvicina alle grandi linee dello schema strategico dell’Ottobre. Preparato da parecchi scioperi generali e insurrezioni parziali, dal lungo lavoro di usura della guerriglia, il rovesciamento della dittatura comincia, nella sua fase finale, con l’appello allo sciopero generale, lanciato il 4 giugno 1979 dal Fronte sandinista. In giugno e luglio lo sciopero generale si trasforma in rivoluzione urbana di massa, in parte preparata e pianificata dall’avanguardia militare sandinista, in parte spontanea.
Questo processo di sciopero generale insurrezionale è accompagnato da uno sviluppo dell’autorganizzazione in tutte le sue forme: sviluppo dei comitati di difesa civica, proliferare di milizie, ruolo delle donne organizzate nell’Ampronac. Parallelamente, la Guardia nazionale, principale supporto della dittatura, si disgrega. Dopo la partenza di Somoza, il 17 luglio, quando Urcuyo che lo sostituisce pretende di aggrapparsi al potere, non ha più fra le mani un apparato statale degno di questo nome, e un ultimo slancio dei sandinisti e delle masse di Managua spazza via quest’ultima traccia di dittatura.
Come in Russia, l’impeto del processo di autorganizzazione deriva dalla distruzione di un apparato di Stato militar-burocratico e dalla debole impalcatura (ciò che Gramsci definiva l’aspetto “gelatinoso”) della società civile. I vari organi, comitati e milizie, di cui si dota la rivoluzione non corrispondono tanto a un progetto cosciente, quanto a un urgente bisogno di risolvere i più svariati problemi: rifornimento, trasporti, autodifesa e vigilanza, amministrazione rivoluzionaria, riorganizzazione dei servizi sanitari e dell’istruzione…
Dualismo di potere
Appena rientrato a Pietrogrado, uno dei primi articoli pubblicati da Lenin sulla “Pravda”, fin dal 9 aprile 1917, è dedicate al Dualismo del potere. Per Lenin ci sono già due poteri antagonistici in Russia: la dittatura della borghesia e la nascente dittatura del proletariato, incarnata dai soviet. Ma la contrapposizione tra questi due poteri non assume una forma trasparente. C’è, piuttosto, un “intreccio” dei due poteri e una confusione, nella misura in cui il potere sovietico rinuncia all’esercizio reale del potere a favore del governo. Esso trasmette la propria legittimità rivoluzionaria a un governo di coalizione tra i socialisti-rivoluzionari, i menscevichi e soprattutto il partito “cadetto”, che è indubbiamente il partito della borghesia riformatrice.
Lenin fa del problema della guerra e della pace il banco di prova della politica governativa: ogni crociata sciovinista, che inviti a continuare la guerra in nome di una rivoluzione che è ancora soltanto nella fase democratico-borghese, significa per lui portare avanti in altra forma la politica della borghesia.
A Managua, come a Pietrogrado, c’è, dopo il rovesciamento di Somoza, una forma specifica di dualismo del potere. La dittatura è stata abbattuta e il suo apparato repressivo annientato. La borghesia mantiene la proprietà privata dei principali mezzi di produzione e di parte della terra. Dispone ancora di alcune istituzioni statali e di mezzi d’informazione. È numericamente maggioritaria in seno al Governo di ricostruzione nazionale. Beneficia soprattutto dell’appoggio internazionale dell’imperialismo e della socialdemocrazia.
In Nicaragua, lo smantellamento dell’apparato repressivo è già andato molto al di là di quel che non sia avvenuto a Pietrogrado tra il febbraio e l’ottobre del 1917. In Russia, l’essenziale di quest’apparato restava in piedi, a partire dalla gerarchia dell’esercito zarista e dai suoi speciali reggimenti di Cosacchi. In Russia, la borghesia disponeva della propria rappresentanza politica nella veste di partiti di tipo parlamentare, come il partito cadetto, e di propri agenti politici in seno al movimento contadino e operaio, tramite i socialisti-rivoluzionari e i menscevichi.
In Nicaragua, invece, l’unica forza armata dopo la caduta di Somoza è quella dell’esercito ribelle sandinista, forgiato dai lavoratori nella guerriglia e nell’insurrezione, o quella delle milizie. La borghesia ha cominciato a dar vita a una rete di club, raggruppamenti, camere di commercio. Essa però non ha ancora un partito politico in grado di colmare il vuoto lasciato dal rovesciamento della dittatura che sia paragonabile al partito cadetto, o anche a quello che è stato il PPD in Portogallo dopo la caduta di Caetano. Da parte sua, il Fronte sandinista è finora il partito della rivoluzione in Nicaragua. Non l’ha subita come un sughero a fior d’acqua, sottoposto alle contrastanti pressioni della spinta delle masse e della resistenza della borghesia: ha sospinto e diretto il processo rivoluzionario, fino all’insurrezione finale inclusa. Non ci sono quindi né socialisti-rivoluzionari né menscevichi che dividano il movimento popolare.
Noi non ne ricaviamo che il Fronte sandinista sia, in compenso, l’equivalente diretto del Partito bolscevico; un partito bolscevico che sarebbe immediatamente maggioritario e senza concorrenti. Ci manca molto, per la storia e per i limiti programmatici del Fronte sandinista. Il Fronte può essere gravido di tendenze mensceviche, piccolo-borghesi, che possono manifestarsi di fronte alle prove future. Ma al suo interno è avvenuta una prima selezione, attraverso le lotte passate e soprattutto attraverso la guerra civile che precede il rovesciamento della dittatura anziché seguirlo.
Per questo il dualismo del potere in Nicaragua è ancora più complesso e “intricato” di quanto non fosse nel 1917 in Russia: al punto di percorrere lo stesso apparato governativo. Le molle principali della mobilitazione popolare sono state fin qui di ordine democratico (contro la dittatura e per la terra) invece che direttamente socialista. La coscienza delle masse è ancora imbevuta di pregiudizi religiosi o anticomunisti. La rivoluzione resta sandinista. E dietro questa bandiera nazionale matura e si approfondisce la coscienza degli operai e dei contadini, di fronte a un processo di rivoluzione permanente.
L’intreccio dei due poteri, l’accavallarsi del contenuto democratico e di quello sociale della rivoluzione sono tali che il Fronte sandinista si trova in una situazione eminentemente contradittoria, travolto dalla vecchia dialettica dell’“ormai non più” e del “non ancora”. La borghesia ormai non è più abbastanza forte da assumere da sola il potere: lasciarla governare da sola significherebbe correre verso lo scontro precipitato, non solo con la borghesia nazionale, ma più rischiosamente con l’imperialismo che ha alle spalle. L’altro potere, quello degli operai e dei contadini, dei loro comitati, non è ancora abbastanza consolidato e organizzato, maggioritario e riconosciuto, per spazzare via il governo. Le masse faranno propri gli obiettivi socialisti e si libereranno del governo solo all’atto pratico, sospinte dal bisogno di risolvere la crisi economica, che provocherà crescenti conflitti con i settori borghesi del governo.
Perciò questa situazione transitoria trova nel governo di ricostruzione un punto di equilibrio instabile tra le forze del proletariato e quelle della borghesia, prima di una prova di forza inevitabile.
Pietrogrado: organizzare la rivoluzione (da febbraio a luglio)
Prima di ritornare a Managua, passeremo a Pietrogrado, per seguire settimana per settimana le risposte di Lenin ai vari problemi posti in un contesto di dualismo del potere: ruolo dei soviet, partecipazione o meno al governo provvisorio, convocazione dell’Assemblea costituente, rivendicazioni sociali. Si tratta di elementi di una tattica estremamente mobile, che si ridistribuiscono di continuo tra il febbraio e l’ottobre, a mano a mano che gli avvenimenti si succedono e mutano i rapporti di forza.
Fin dal suo rientro in Russia, nell’aprile, Lenin pone innanzitutto l’accento sulla definizione della situazione politica come situazione di dualismo del potere:
accanto al governo provvisorio, al governo della borghesia, si è costituito un altro governo, ancora debole, embrionale […]: i soviet dei deputati degli operai e dei soldati.1Un mese dopo egli continua a definire la situazione come
una situazione estremamente originale […] la compenetrazione, l’intreccio di due dittature: la dittatura della borghesia […] e quella del proletariato e dei contadini.2È questo contesto a determinare e condizionare i rapporti tra il governo e i soviet, tra gli obiettivi democratici e le parole d’ordine socialiste.
All’annuncio dello scoppio della rivoluzione, fin dal marzo 1917, Lenin cita nelle Lettere da lontano un vecchio articolo dell’ottobre del 1915, in cui ammetteva la possibilità che i bolscevichi partecipassero a un governo rivoluzionario provvisorio insieme alla piccola borghesia democratica, ma in nessun caso con i “rivoluzionari sciovinisti”, fautori della prosecuzione della guerra.3 In compenso, esclude categoricamente la partecipazione minoritaria come “semplice pedina” del governo Guckov-Miliukov formatosi dopo la rivoluzione di febbraio. È altrettanto impossibile, secondo lui, partecipare “alla pari” a quel governo, non per principio, ma perché non si possono conciliare le esigenze contrapposte della guerra e della pace. Infine, non si può partecipare “in maggioranza” a quel governo senza rovesciare il governo stesso.4
Ora, nella prima ondata della rivoluzione in ascesa, il rapporto di forza tra le classi e il livello di coscienza del proletariato sono tali che è inevitabile scontrarsi direttamente con il governo: cosa che Lenin intravedeva già dal suo lontano esilio:
non potremo rovesciare di colpo il nuovo governo o […] se potremo farlo […] non riusciremo a conservare il potere, senza opporre all’eccellente organizzazione di tutta la borghesia russa […] una non meno eccellente organizzazione del proletariato […].5
Una volta rientrato, egli è perfettamente consapevole della ristrettezza dei margini tra lo scontro prematuro con il governo e la tentazione opportunistica dell’appoggio. Le famose Tesi d’aprile non consentono appello: “non appoggiare in alcun modo il governo provvisorio”,6 che si rifiuta di fare la pace (7 aprile 1917). Ma, appena qualche giorno dopo Lenin mette in guardia contro l’opposto pericolo: l’ambizione soggettivistica di saltare la tappa democratico-borghese ancora incompiuta:
Se dicessi: – Niente zar, ma un governo operaio, incorrerei in questo pericolo. Ma io non dico questo, dico tutt’altra cosa […].7E che cosa ha detto, in realtà? Che non ci può essere un governo che non sia quello dei soviet, che si può passare dal governo provvisorio solamente ai soviet. Che non ci si deve lasciare sviare né dai conciliatori né dagli isolati, propensi a bruciare le tappe e a gridare prima ancora che la maggioranza del popolo abbia acquisito una coscienza salda: “Abbasso il governo provvisorio”!
La parola d’ordine del momento è invece quella dell’organizzazione dei lavoratori attorno ai soviet. È ancora ciò che Lenin torna a sostenere dopo la crisi di fine aprile, che ha visto le masse scendere in strada contro la politica del governo.8 E rimane la tesi che sostiene alla Conferenza del Partito bolscevico, il 24 aprile: “Secondo noi, la parola d’ordine: ‘Abbasso il governo provisorio!’ è avventuristica, perché nel momento attuale è impossibile rovesciare il governo”. Alcuni hanno lanciato questa parola d’ordine “errata”. “Bisogna abbattere il governo provvisorio, ma non subito né con i mezzi abituali”.9 Così, il partito si accontenta di fare appello a manifestazioni pacifiche.
Fin dall’apertura del processo rivoluzionario, il compito centrale consiste dunque nello sviluppo e nel rafforzamento dei soviet, come elementi proletari del dualismo del potere. Questo compito guida tutti gli altri e condiziona le possibilità tattiche di lanciare questa o quell’altra parola d’ordine sul governo o la Costituente. La linea è tracciata con estrema chiarezza nelle Tesi d’aprile:
Non si tratta di sapere con quale velocità occorra muoversi, ma dove bisogni andare. Non si tratta di sapere se gli operai sono preparati, ma come e per che cosa occorra prepararli.Da febbraio a luglio Lenin dunque non si sposta di un pollice. Si attiene alla linea di condotta fissata fin dai primi giorni della rivoluzione: costruire i soviet e conquistare in essi la maggioranza, per far inclinare la situazione di dualismo del potere a favore del proletariato quando si presenti il momento opportuno. Ogni scontro affrettato, prima che il secondo potere sia perlomeno altrettanto forte del primo, costituirebbe un’avventura putschista. “La parola d’ordine del momento”, scrive l’11 marzo 1917, “è l’organizzazione”.10 E qualche giorno dopo (15 marzo 1917): “Il compito specifico del momento, in questa situazione transitoria, è l’organizzazione del proletariato”.11 Non l’organizzazione consueta, ma l’organizzazione rivoluzionaria che deve riunire le funzioni dell’esercito e dello Stato, cioè i soviet.Da febbraio a luglio Lenin dunque non si sposta di un pollice. Si attiene alla linea di condotta fissata fin dai primi giorni della rivoluzione: costruire i soviet e conquistare in essi la maggioranza, per far inclinare la situazione di dualismo del potere a favore del proletariato quando si presenti il momento opportuno. Ogni scontro affrettato, prima che il secondo potere sia perlomeno altrettanto forte del primo, costituirebbe un’avventura putschista. “La parola d’ordine del momento”, scrive l’11 marzo 1917, “è l’organizzazione”.12 E qualche giorno dopo (15 marzo 1917): “Il compito specifico del momento, in questa situazione transitoria, è l’organizzazione del proletariato”.13 Non l’organizzazione consueta, ma l’organizzazione rivoluzionaria che deve riunire le funzioni dell’esercito e dello Stato, cioè i soviet.
Operai – proclama il 7 marzo – avete compiuto miracoli di eroismo proletario, popolare, nella guerra civile contro lo zarismo; dovete compiere adesso miracoli nell’organizzazione del proletariato e di tutto il popolo per preparare la vostra vittoria nella seconda fase della rivoluzione.14Il compito ormai è quello di organizzarsi, “estendere e consolidare la milizia proletaria”15 (22 marzo 1917). Una milizia “effettivamente popolare”, cui partecipi l’intera popolazione dei due sessi, mobilitata ogni quindici giorni e pagata dai capitalisti.16Concretamente, questa situazione transitoria di dualismo del potere si traduce per i soviet in compiti di controllo e di vigilanza. Lenin plaude al programma del soviet di Pietrogrado di dar vita a un Comitato di sorveglianza sul governo provvisorio. “Ecco un concreto passo in avanti verso le garanzie reali”.17 Non si tratta ancora di prendere tutto il potere, ma di far sì che il potere proletario si erga, si consolidi, prenda coscienza della sua forza.
Quale posto occupa, in questo contesto e rispetto all’assoluta priorità assegnata al consolidamento del dualismo del potere, la parola d’ordine dell’Assemblea costituente? Per Lenin, si tratta di una parola d’ordine democratica radicale, difficilmente scindibile dal problema dell’effettivo potere. Prima dell’esplosione rivoluzionaria, ritornava già in un articolo del 9 gennaio 1917 sull’esperienza del 1905 in questi termini: “Non lo zar ma il governo rivoluzionario provvisorio deve convocare la prima e genuina rappresentanza popolare in Russia!”18 La Costituente non ha alcuna virtù progressista o rivoluzionaria in sé. Può contribuire a mobilitare le masse e a elevarne il livello di coscienza; ma, nella misura in cui non si discosta dal terreno della democrazia parlamentare formale e borghese, non rappresenta mai altro che una parola d’ordine tattica strettamente legata alla situazione concreta: “la socialdemocrazia rivoluzionaria in Russia comprese molto bene il reale carattere della concessione di una Costituzione fantomatica nell’agosto del 1905”.19 E per questo era giusto allora boicottare la Duma.
Quando scoppia la rivoluzione, l’obiettivo della Costituente rappresenta, allo stesso titolo della pace, una sfida democratica lanciata al governo provisorio: “Il soviet dei deputati degli operai e dei soldati si batte per la convocazione immediata dell’Assemblea costituente”20 (marzo 1917). Va sottolineato che non si tratta qui di una parola d’ordine centrale del partito bolscevico, ma di una sfida lanciata dall’embrione del potere proletario (soviet) al potere borghese, sul proprio terreno, quello della democrazia radicale.
Da febbraio a luglio, la Costituente non compare praticamente come parola d’ordine centrale dei bolscevichi negli scritti di Lenin; vi figura piuttosto incidentalmente, come richiamo alle promesse non mantenute dal governo provvisorio, come dimostrazione delle sue contraddizioni e della sua impotenza. Ad esempio, nei Compiti del proletariato nella rivoluzione attuale, Lenin rimprovera al governo di non avere ancora fissato la data di convocazione. Ma il compito pratico principale resta il consolidamento dei soviet :
quanto più attivamente aiuteremo il popolo a costruire subito e dappertutto i soviet dei deputati degli operai e dei contadini e, per loro mezzo, a prendere nelle sue mani tutta la vita, quanto più a lungo i signori Lvov e soci ritarderanno la convocazione dell’Assemblea costituente, tanto più facilmente il popolo potrà fare la sua scelta (mediante l’Assemblea costituente o senza di essa, se Lvov tarda troppo a convocarla) a favore della repubblica dei soviet di deputati degli operai e dei contadini.21La prospettiva avanzata è, dunque, già quella della Repubblica dei soviet. Più la reale democrazia proletaria prenderà corpo attraverso i soviet, meno la borghesia oserà affrontare il confronto e convocare una Costituente che potrebbe sfuggirle di mano. Ma Lenin non lascia, in ultima analisi, alcun dubbio sulla fonte reale delle decisioni: con o senza la Costituente (la cui sovranità è così negata in partenza), il popolo sceglierà attraverso gli Strumenti che si costruisce e non attraverso quelli del parlamentarismo borghese.
Di fatto, Lenin teme che la questione della Costituente offuschi l’orizzonte, mascheri l’essenziale e incoraggi la passività. Con tutte le sue forze, egli mette in guardia dal legalitarismo e dall’attendismo. Ciò che distingue la politica dei vari partiti che si richiamano al proletariato non è né la rivendicazione dell’Assemblea costituente né la richiesta che sia convocata al più presto. Nei Partiti politici in Russia e i compiti del proletariato, Lenin dice che i socialisti-rivoluzionari e i menscevichi rispondono “sì e al più presto” alla domanda se si debba convocare la Costituente. Che cosa rispondono i bolscevichi? E in che cosa si differenziano dagli altri partiti?
Essi rispondono
“Sì e al più presto. Ma la sola garanzia della convocazione e del successo dell’Assemblea costituente sono l’accrescimento numerico e il consolidamento della forza dei soviet […]. L’organizzazione e l’armamento delle masse operaie sono l’unica garanzia”.22Chiaramente, i bolscevichi non si distinguono né per la parola d’ordine né per i tempi di convocazione dell’Assemblea, ma per il fatto che la convocazione e soprattutto la funzione dell’Assemblea restano subordinate alla costruzione di un reale potere rivoluzionario e proletario, quello dei soviet, che è alla testa di tutte le potenzialità embrionali della situazione di dualismo del potere.
Pietrogrado: il problema della Costituente subordinato all’andamento della lotta di classe (luglio – agosto)
Le giornate del luglio 1917 registrano un mutamento della situazione e dei rapporti di forza tra le classi. La funzione tattica delle parole d’ordine viene ben presto modificata. Per Lenin la situazione oggettiva impone le parole d’ordine, e non viceversa. Egli registra immediatamente le trasformazioni profonde dei dati politici della situazione:
La svolta del 4 luglio consiste precisamente in questo […]. L’instabilità del potere è finita. Il potere, nei punti decisivi, è passato alla controrivoluzione […] il potere non può più essere preso pacificamente.23In nessun momento Lenin pensa di cambiare orientamento, e continua a sostenere che sarebbe stato sbagliato ricercare la conquista diretta del potere durante le giornate di luglio. Tuttavia, vanno registrati i cambiamenti intercorsi.
La situazione di dualismo del potere non è stata superata, ma il fragile equilibrio di prima del luglio è ormai rotto. Il governo provvisorio e la maggioranza dei soviet si sono contrapposti frontalmente alla mobilitazione semispontanea delle masse e hanno sciolto il Partito bolscevico, ne hanno vietata la stampa, imprigionati i dirigenti. Sotto il dualismo del potere emerge un governo che non è più incalzato dai soviet ma che riveste i tratti del bonapartismo: “Il bonapartismo è.una forma di governo che nasce dallo spirito controrivoluzionario della borghesia in una situazione di trasformazioni democratiche e di rivoluzione democratica”.24Lenin abbandona allora la parola d’ordine di tutto il potere ai soviet. Dal momento che le direzioni maggioritarie nei soviet si sono poste sul terreno della controrivoluzione, quella parola d’ordine non può più mantenere il senso che aveva prima del luglio. Infatti, dopo le giornate di luglio, in cui socialisti-rivoluzionari e menscevichi hanno consegnato i bolscevichi nelle mani della reazione, ogni speranza basata sullo sviluppo pacifico della rivoluzione è ormai definitivamente sfumata. La parola d’ordine di lutto il potere ai soviet era dunque ben quella dello “sviluppo pacifico” della rivoluzione, possibile in aprile, maggio, giugno, fino al 5-9 luglio, cioè fino al momento del passaggio del potere effettivo nelle mani della dittatura militare.25Lenin non cessa di insistere in modo martellante sull’idea che la parola d’ordine del potere ai soviet era per tutto un periodo quella delle forme “pacifiche e indolori” della rivoluzione: “Fino al 4 luglio la parola d’ordine del passaggio di tutto il potere ai soviet d’allora era l’unica giusta […] Allora era possibile […] la soluzione pacifica della lotta delle classi e dei partiti in seno ai soviet”26 (1 settembre 1917).
Nel luglio-agosto, dunque, questa parola d’ordine sparisce. Essa ricompare alla fine di agosto, per qualche giorno, come esplicita formula di compromesso, dopo la sconfitta del putsch di Kornilov:
Un compromesso, da parte nostra, sta nel tornare alla rivendicazione del periodo precedente le giornate di luglio: tutto il potere ai soviet, formazione di un governo di socialisti-rivoluzionari e di menscevichi responsabile di fronte ai soviet. Oggi e soltanto oggi – e forse solo per qualche giorno o per una o due settimane – un governo simile potrebbe formarsi e insediarsi pacificamente.27La sola condizione del compromesso sarebbe per i bolscevichi quella della responsabilità del governo di fronte ai soviet. Per difendersi da Kornilov, il governo ha avuto bisogno dell’appoggio delle masse. Il Partito bolscevico ha riconquistato il suo diritto di cittadinanza in questa lotta, ma continua a non essere maggioritario nei soviet. Transitoriamente, per qualche giorno al massimo, può quindi proporre un governo menscevichi-socialisti rivoluzionari basato sui soviet. Passato questo momento, la parola d’ordine del passaggio di tutto il potere ai soviet assumerà un contenuto diverso, non più pacifico, ma insurrezionale: quello della risoluzione violenta del dualismo del potere.
Nelle settimane successive alle giornate di luglio Lenin si accanisce a mettere in guardia il partito dalle “illusioni costituzionali”. Teme che la borghesia accresca il proprio vantaggio attraverso lo sviluppo della controrivoluzione democratica, cioè la restaurazione delle istituzioni borghesi. Nel suo famoso articolo contro le “illusioni costituzionali” (26 luglio 1917) scrive che ci sono novantanove probabilità che la Costituente non venga convocata per la scadenza prevista e, se venisse convocata, che ci “sarebbero ancora novantanove probabilità su cento che essa, fino a quando la seconda rivoluzione non avrà vinto in Russia, sarebbe impotente e vana come la I° Duma”.28Prima delle giornate di luglio, la convocazione della Costituente era effettivamente uno degli obiettivi della lotta. Ma i menscevichi appuntavano la propria attenzione sull’“atto giuridico” di convocazione: “Per i bolscevichi il centro di gravità stava nella lotta di classe: se i soviet trionferanno, la convocazione dell’Assemblea costituente sarà assicurata, in caso contrario non lo sarà”.29Le giornate di luglio erano dirette contro la Costituente. Ma:
Se non vi sarà una nuova rivoluzione in Russia, se non si abbatterà il potere della borghesia controrivoluzionaria (e dei cadetti innanzitutto) […] l’Assemblea costituente, o non sarà convocata o sarà una “fabbrica di chiacchiere” come l’Assemblea di Francoforte, un’assemblea impotente e inutile di piccolo borghesi mortalmente spaventati dalla guerra […] vaganti alla deriva tra la velleità di governare senza la borghesia e la paura di farne a meno.
La questione dell’Assemblea costituente è subordinata all’andamento e al risultato della lotta di classe tra la borghesia e il proletariato.30
Pietrogrado: il potere ai soviet diventa la parola d’ordine dell’insurrezione (settembre – ottobre)
Una nuova e ultima grande svolta avviene nei primi giorni di settembre, come contraccolpo della mobilitazione contro Kornilov. Tra il 31 agosto e il 12 settembre, i bolscevichi conquistarono la maggioranza nei soviet di Pietrogrado e di Mosca. Lenin ne trae immediatamente le conseguenze pratiche:
I bolscevichi, avendo ottenuto una maggioranza nei soviet dei deputati degli operai e dei soldati delle due capitali, possono e devono prendere il potere statale nelle loro mani.
Possono farlo perché la maggioranza attiva degli elementi rivoluzionari popolari delle due capitali basta a trascinare le masse31 [12 settembre 1917].
II 3-4 luglio […] la classe che è l’avanguardia della rivoluzione non era ancora con noi.
Non avevamo ancora la maggioranza tra gli operai e i soldati delle due capitali. Oggi l’abbiamo in entrambi i soviet. Essa è stata creata esclusivamente dagli avvenimenti di luglio e di agosto, dall’esperienza della repressione contro i bolscevichi e della rivolta di Kornilov.32 […]
Noi rompiamo definitivamente con quei partiti [socialisti-rivoluzionari e menscevichi], perché essi hanno tradito la rivoluzione. 33
Ormai, la parola d’ordine “Tutto il potere ai soviet” altro non è se non un appello all’insurrezione?34Di fronte alla crisi economica e al divampare della guerra e della guerra civile insieme, l’accento viene posto non più sulle sole rivendicazioni democratiche, ma sul contenuto anticapitalistico della rivoluzione. Nel suo scritto sui Compiti della rivoluzione e nella Catastrofe imminente e come lottare contro di essa, Lenin mette al primo posto tra i compiti “il controllo, il censimento, la vigilanza”. Si tratta della parola d’ordine della “lotta contro la carestia”, il problema cruciale che sfocia nella nazionalizzazione dei trust, l’unificazione delle banche in un’unica banca, la soppressione del segreto commerciale: “Il governo dei soviet deve istituire immediatamente su scala statale il controllo operaio della produzione e del consumo”.35 Egli pone l’accento sul concreto contenuto della trasformazione dei rapporti di produzione. Non basta nazionalizzare e statizzare: senza l’esercizio diretto del potere dei lavoratori sui luoghi di produzione la pianificazione non riuscirebbe a sostituire efficacemente il mercato:
Il “nocciolo” del problema non è già nella confisca dei beni dei capitalisti, ma nel controllo operaio generale e minuzioso sui capitalisti e sui loro eventuali sostenitori. Con la sola confisca non si fa nulla, perché in essa non vi è nessun elemento di organizzazione, di calcolo della giusta ripartizione.36A partire dal momento in cui la parola d’ordine “Tutto il potere ai soviet” diventa la parola d’ordine dell’insurrezione, il problema della Costituente passa in secondo piano. Essa non svolge più un ruolo di stimolo della mobilitazione democratica di massa. Sembra addirittura che Lenin cominci adesso a preoccuparsi di mettere in guardia i lavoratori contro il ruolo che essa potrebbe essere chiamata a svolgere, di estremo baluardo democratico contro la rivoluzione. Attraverso la critica della Conferenza democratica, agli inizi di settembre (in Il marxismo e l’insurrezione), si annunciano le ulteriori critiche alla Costituente:
Considerare la Conferenza democratica come un parlamento, sarebbe, da parte nostra, errore gravissimo, cretinismo parlamentare della peggiore specie, perché anche se la Conferenza si proclamasse parlamento, e parlamento sovrano della rivoluzione, non potrebbe egualmente decidere nulla: la decisione sta fuori della Conferenza, nei quartieri operai di Pietroburgo e di Mosca.37Donde la decisione che si doveva boicottare il preparlamento. Fin da allora, Lenin fa appello alla sfiducia verso la Costituente tanto che non la rivendica:
Se si può attuare l’alleanza degli operai delle città con i contadini poveri attraverso l’immediato trasferimento del potere ai soviet, tanto meglio […]. Senza di questo anche l’Assemblea costituente da sola, di per se stessa, non ci salverà, appunto perché anche in essa i socialisti-rivoluzionari possono continuare il loro “giuoco” delle intese con i cadetti […] e con Kerenski38 (29 settembre 1917).
Più si avvicina l’ora dello sbocco finale, più Lenin si dimostra preoccupato del ruolo dì diversione che può svolgere l’obiettivo democratico della Costituente. L’8 ottobre scrive:
Se i bolscevichi, avendo nelle mani i soviet delle due capitali, rinunciassero a questo compito, accontentandosi della convocazione dell’Assemblea costituente (cioè di un simulacro di Assemblea costituente) da parte del governo Kerenski, ridurrebbero a vuota frase la parola d’ordine della loro propaganda, “il potere ai soviet”, e si coprirebbero politicamente di vergogna come partito del proletariato rivoluzionario.39In occasione del Comitato centrale del 10 ottobre, ripete: “Attendere fino all’Assemblea costituente, che, è chiaro, non sarà con noi, non ha senso, poiché ciò significa rendere più difficile il nostro compito”.40 Continua a inveire contro coloro che vogliono aspettare, che non si rendono conto che solo la conquista del potere può “assicurare” la Costituente. Quando Zinoviev e Kamenev esitano di fronte all’appello all’insurrezione li denuncia come corrotti innanzi tempo dal cretinismo parlamentare: “Fondino pure i signori Kamenev e Zinoviev un loro proprio partito con qualche decina di disorientati o di candidati all’Assemblea costituente”.41Questa sfiducia verso la parola d’ordine dell’Assemblea costituente troverà la sua compiuta definizione teorica solo negli ultimi giorni del 1917. Davanti al Comitato centrale riunito il 1° dicembre, Lenin caratterizza la Costituente come la forma superiore di democrazia in una repubblica borghese. Egli cerca di dare alla Costituente un contenuto nuovo, di tirarla dalla parte della democrazia diretta in contrapposizione alla democrazia rappresentativa, non foss’altro che per la revocabilità degli eletti:
Voi dicevate: bisogna isolare la borghesia. Ma i cadetti, nascondendosi dietro una parola d’ordine democratica, formale, dietro la parola d’ordine dell’Assemblea costituente, cominciano di fatto la guerra civile. […] Noi abbiamo introdotto il diritto di revoca e l’Assemblea costituente non sarà quale l’aveva progettata la borghesia.42Alla vigilia della riunione della Costituente, il 12 dicembre, redige infine le sue Tesi sull’Assemblea costituente43 nelle quali ricorda che, fin dall’inizio della rivoluzione, i soviet furono considerati come “una forma di democrazia più elevata di una comune repubblica borghese che abbia un’Assemblea costituente”.44
E questo è stato il filo conduttore per Lenin per tutto il 1917. “Cosicché, quest’Assemblea costituente, che avrebbe dovuto essere il coronamento della repubblica parlamentare borghese, non poteva non ostacolare la via della rivoluzione d’ottobre e del potere dei soviet”45 (18 gennaio 1918). Il giorno stesso, nel discorso sullo scioglimento, dichiara:
a paragone dello zarismo e della repubblica di Kerenski, l’Assemblea costituente era per noi migliore dei loro tanti strombazzati organi del potere, ma a misura che sorsero i soviet, questi ultimi, in quanto organizzazioni rivoluzionarie di tutto il popolo, divennero incomparabilmente superiori a tutti i parlamenti di tutto il mondo, lo sottolineavo questo fatto fin dal mese di aprile.46Nel progetto Per la revisione del programma del partito,47 redatto il 6 ottobre 1917, considerava la coesistenza tra la Repubblica sovietica e l’Assemblea costituente semplicemente un “tipo misto provvisorio”.
Managua: perché i comitati diventino la mente e il braccio della rivoluzione
Parallelamente alla resistenza della dittatura, la borghesia nicaraguense, dietro consiglio dell’imperialismo, ha cercato di trattare con il Fronte sandinista il mantenimento del proprio potere statale. Nel giugno-luglio, gli accordi conclusi offrivano alla borghesia antisomoziana una triplice garanzia. Era prevista:
– la formazione di una Giunta di ricostruzione di cinque membri (tre borghesi e due sandinisti) e di un Governo di ricostruzione;
– la fusione dell’esercito sandinista con i residui della Guardia nazionale;
– l’instaurazione di un Consiglio di Stato composto da rappresentanti delle organizzazioni del fronte antisomoziano, in prevalenza borghese.
La tempesta della rivoluzione ha spazzato via tutto quel castello di carte. La maldestra ostinazione di Urcuyo il 17 e 18 luglio ha scatenato un ultimo assalto popolare, che ha spiazzato quanto era riuscito a rimanere della Guardia nazionale, i cui brandelli si sono rifugiati nell’Honduras.
Il Consiglio di Stato non ha visto la luce. Alla fine d’ottobre, i piccoli partiti borghesi (socialdemocratico, socialcristiano, democratico-conservatore), nonché la Camera di commercio, preoccupati per le nuove misure sociali, hanno organizzato varie riunioni per esigere la convocazione immediata del Consiglio di Stato.
Questo Consiglio doveva essere composto di trenta esponenti dei partiti borghesi, della Camera dell’Industria e del Commercio, del Fronte sandinista, dei sindacati, della Chiesa cattolica e di altri gruppi. La sua composizione favoriva spudoratamente i settori più conservatori del fronte antisomoziano. La successiva radicalizzazione della rivoluzione dimostra ormai chiaramente che la sua convocazione rappresenterebbe un grosso passo indietro. Non è ancora stata fissata una data per la sua convocazione, e il 5 Ottobre Moises Hassan, membro della Giunta di ricostruzione, dichiarava che bisognava modificarne la composizione. Altri dirigenti sandinisti hanno espresso l’intenzione di ridefinire la composizione di un Consiglio di Stato basato sugli organi di mobilitazione sorti dal processo rivoluzionario.
Con la sconfitta della Guardia nazionale e in assenza del Consiglio di Stato, il Governo di ricostruzione nazionale, governo di coalizione tra il Fronte sandinista e rappresentanti significativi della borghesia, resta sospeso per aria. In quanto esso non rompe radicalmente con le istituzioni dello Stato borghese e con la proprietà privata, resta un governo borghese, ma non costituisce il centro di gravità del potere reale.
I sandinisti, che detengono sostanzialmente il potere e controllano l’esercito rivoluzionario, hanno a volte larvatamente giustificato questo governo come la copertura per negoziare con l’imperialismo. Viceversa, il governo può diventare il tramite di pressioni e di diktat da parte degli imperialisti.
Non se ne deve dedurre che sarebbe ora di affrontare lo scontro aperto con il governo. Il problema, in un governo di coalizione, è sapere chi sia l’ostaggio di chi. In Jugoslavia, dal 1943 al 1945, in Cina nel 1949, a Cuba nel 1960, gli ultimi ministri borghesi erano già ostaggi della rivoluzione, e non viceversa. In Portogallo, invece, il PCP e il PS erano, nel giugno del 1974, gli ostaggi volontari del governo Spinola, e noi ne esigevamo il ritiro immediato dal governo, parallelamente alla convocazione di un’Assemblea costituente.
In Nicaragua, il Fronte sandinista detiene il potere effettivo, e fin qui il governo ha registrato o avallato le misure sociali adottate, per cui la sua legittimità rivoluzionaria agli occhi delle masse non è intaccata. È prevedibile che, nella misura in cui al suo interno sono rappresentati settori significativi della borghesia, conflitti e rotture siano inevitabili, a mano a mano che si andrà approfondendo il processo di rivoluzione permanente. Non è però indifferente che sia la borghesia a essere costretta a rompere e a ritirarsi dal governo, contrapponendosi alle esigenze della rivoluzione in marcia.
In queste condizioni, non si può considerare la presenza del Fronte sandinista al governo come un venir meno ai principi. Il problema reale è un altro: senza cacciare direttamente i ministri borghesi, occorre educare le masse e prepararle all’idea che uno scontro è inevitabile; che è possibile lottare con un settore della borghesia contro la dittatura e per le libertà democratiche, ma che non è possibile dirigere la società nell’interesse dei lavoratori attraverso un governo in cui padroni e operai si ritrovano fianco a fianco.
La stessa gravità della crisi non tarderà a porre il problema. In un paese devastato dalla guerra civile, in preda alla disoccupazione e alla fame o ai razionamenti, s’impongono soluzioni radicali. Non è possibile valutare la rivoluzione nicaraguense con l’unico criterio del ritmo e dell’ampiezza degli espropri. Più della metà delle terre coltivabili sono state nazionalizzate, come pure le aziende di Somoza, le banche, le assicurazioni. Ma la situazione di penuria richiede inevitabilmente ulteriori misure di controllo dei prezzi e della produzione, del rifornimento, dell’epurazione, dell’estensione della riforma agraria. Il Bill of Rights, che fa le veci di Costituzione provvisoria, dichiara che la proprietà privata è passibile di limitazioni in funzione dell’“utilità pubblica” e dell’“interesse sociale”. Questa clausola apre la strada a una possibile espansione della riforma agraria, nonché a un moltiplicarsi degli “interventi” o inchieste, sugli stessi beni della borghesia antisomoziana, all’iniziativa degli uffici governativi o dei comitati sandinisti. Il Ministero dell’Economia, per esempio, è stato spinto a instaurare un controllo per impedire la speculazione sui prezzi della carne e a invitare i comitati sandinisti a svolgere un ruolo attivo nell’esercizio di questo controllo.
Lo sviluppo di queste misure anticapitalistiche e quello dell’autorganizizione sono inscindibili.
Le Monde del 27 ottobre 1979 riprendeva in un articolo un dispaccio dell’AFP che parlava di grane del ministro degli Interni, Tomàs Borge, con le milizie, soprattutto nella regione di Masaya, e di dichiarazioni che insistevano sulla necessità di ridimensionare il potere eccessivo che si sarebbero attribuiti alcuni comitati sandinisti (ad esempio, la possibilità di concedere patenti e autorizzazioni a uscire dal paese).
Queste voci contrastano in parte con le precedenti dichiarazioni e con gli articoli della stampa sandinista. In occasione di una conferenza stampa, il 9 ottobre, Tomàs Borge aveva sviluppato particolareggiatamente la sua concezione del ruolo e del futuro delle milizie:
Le attuali milizie stanno per integrarsi con l’esercito, la polizia, la produzione. È un processo piuttosto lento, a causa dei limiti materiali e di altro genere dell’organizzazione. Quando le attuali milizie saranno integrate nell’esercito, negli organi di sicurezza dello Stato, nei centri di produzione – o nei licei e nei collegi, perché in realtà parecchi miliziani sono di fatto degli studenti –, daremo vita a una milizia nazionale. Di fatto, essa si sta già creando. Ciò significa che i lavoratori nelle fabbriche, gli studenti nelle università, gli impiegati nell’amministrazione che vogliano entrare volontari nelle milizie (e insisto sulla parola volontari, perché non si tratterà in alcun modo di un servizio obbligatorio) potranno farlo.
Abbiamo calcolato che fra qualche mese avremo 300 000 miliziani in Nicaragua. Queste milizie saranno inserite nei centri di produzione e i lavoratori nelle fabbriche saranno loro stessi dei miliziani. Avranno le loro armi. Non ci sarà bisogno di portarle a spasso per strada, ma saranno depositate nei luoghi di lavoro, e saranno evidentemente sotto il controllo degli stessi miliziani. Queste armi serviranno a fare la guardia nelle fabbriche, a mantenere l’ordine nelle città e, se necessario, ad affrontare lo scontro, se il nostro paese sarà attaccato.
Quindi, le milizie faranno anche un addestramento militare, perlomeno un giorno alla settimana, cosicché, se ci fosse bisogno di difendere il paese, il popolo del Nicaragua sarebbe senz’altro in grado di farlo immediatamente con le sue milizie.
Si tratta di un progetto corrispondente a un problema effettivo, nella situazione di dualismo del potere che conosce il Nicaragua. Le armi sono state conquistate nel corso del crollo della dittatura, spesso da giovani dai dodici anni in su, in condizioni materiali che non consentono loro di andare a scuola. In un paese in cui la maggioranza della popolazione è in preda alla disoccupazione stagionale o permanente, in un contesto instabile di guerra civile sottesa, c’è il pericolo di vedere una parte delle milizie di ieri trasformarsi in bande errabonde. La preoccupazione di radicare gli organi delle milizie nei luoghi di lavoro, di studio, di produzione, è giusta; come pure è giusto il progetto relativo all’addestramento militare settimanale. Lenin poneva negli stessi termini il problema delle milizie nella primavera del 1917, con un’ulteriore precisazione: che nelle industrie private la giornata di addestramento militare fosse pagata dai padroni!
Il destino delle milizie è stato certamente al centro di un dibattito nel Fronte sandinista. Ma dopo il tentativo di inserire il grosso delle milizie nell’esercito sandinista all’inizio di agosto, sembra essere prevalsa la decisione di mantenerle e riorganizzarle. Cosa che è confermata dalla loro presenza a fianco dell’esercito nella sfilata del 1° settembre, nonché dalla lettera aperta alla stampa di Carlos Nufiez, membro della direzione nazionale unificata del Fronte, in data 7 settembre, in difesa delle milizie, e, infine, dall’intervento di Tomàs Borge.
I comitati sandinisti di difesa, definiti dal Fronte “gli occhi e le orecchie della rivoluzione”, pongono un problema analogo. Non c’è assolutamente dubbio che il Fronte sandinista non si sia limitato a registrarne l’esistenza. Esso ha preso l’iniziativa di incoraggiarli. Un solenne articolo di “Barricada”, del 23 settembre, ne auspica lo sviluppo:
Si tratta di un’organizzazione larga e democratica del popolo nicaraguense che si costituisce per difendere e consolidare la rivoluzione. Per suo tramite, le più larghe masse popolari attuano le trasformazioni rivoluzionarie, cercano di risolvere i loro problemi, difendono i loro interessi e si preparano a partecipare direttamente all’esercizio del potere popolare […]. Sono sorti prima dell’insurrezione per la necessità urgente di organizzare la difesa dalla dittatura e l’appoggio al Fsln. I comitati di difesa sono stati i migliori vigili di ogni quartiere, liberandoli dagli sbirri. Sono stati gli infermieri, i medici clandestini, le tipografie segrete attrezzate con ciclostili vietnamiti, i covi sovversivi […]. I cds, come abbiamo detto, sono gli occhi e le orecchie della rivoluzione.
L’articolo presenta i comitati come organi che partono dalla strada o da un quartiere per arrivare fino ai consigli comunali, sulla base di un sistema di delegati revocabili a tutti i livelli. Ma, oltre questo, non si precisa nulla. Non c’è alcun progetto di congresso o di conferenza per la centralizzazione dei comitati al livello di tutto il paese. E questo è appunto il problema.
Dopo l’assassinio di uno dei suoi responsabili, il 5 ottobre a Managua, il Fronte sandinista ha lanciato un’operazione di rastrellamento sistematico della città. Dopodiché, ha promosso una campagna per controllare il somozismo, difendere la rivoluzione, attraverso i cds. I comitati si sono visti così affidare compiti di controllo, di vigilanza, di epurazione cui si aggiungono oggi compiti di controllo dei prezzi. Questi comitati svolgono dunque un ruolo attivo di mobilitazione. Si può certo comprendere, in una situazione di equilibrio instabile di cui tenteranno di approfittare gli speculatori, i profittatori, gli imboscati del somozismo, che il Fronte sandinista intenda controllare centralmente la concessione di documenti, come le patenti, che possono valere da documenti di identità, o mantenere sotto la propria autorità i movimenti di ingresso e di uscita dal paese.
Ma non si può ignorare che ogni misura del genere, in una situazione complessa di dualismo del potere, in cui gli esponenti del Fronte coesistono al governo con dei borghesi notori, in cui l’autorità rivoluzionaria coesiste con la conservazione delle istituzioni statali, presenta un carattere contradittorio. Una centralizzazione è senz’altro necessaria; ma una centralizzazione a vantaggio del potere rivoluzionario: se si tratta di ritirare ai comitati locali dei poteri arbitrari, questi non possono venir trasferiti se non a un potere centrale che emani a propria volta dalla centralizzazione dei comitati. A questa condizione, sarà possibile convincere i combattenti rivoluzionari, senza rinunciare a nessuna briciola delle conquiste rivoluzionarie, a raccogliere le loro forze per affrontare nuovi scontri.
Il problema della Costituente e di libere elezioni non si può porre se non in modo subordinato rispetto alla priorità rappresentata dalla centralizzazione dei comitati. Se non è possibile la prova di forza immediata con la borghesia sorretta dall’imperialismo è perché il livello di coscienza delle masse nicaraguensi è ancora largamente antidittatoriale e democratico più che socialista. La situazione di dualismo del potere deve essere sfruttata per approfondire l’esperienza delle masse, rafforzarne l’organizzazione autonoma, elevarne il livello di coscienza. Sindacati, comitati e milizie sono gli strumenti di questa battaglia, la sola che dia garanzie di affrontare con i migliori rapporti di forza gli scontri inevitabili.
L’esigenza di convocare la Costituente e tenere libere elezioni può costituire in queste condizioni l’asse privilegiato di una campagna della borghesia, preoccupata di ricostituire il terreno parlamentare sul quale potrebbero cominciare a formarsi quei partiti politici di cui essa oggi non dispone. Può trattarsi dei primi preparativi di una controrivoluzione democratica. Non per questo intendiamo dire che il rifiuto deciso di convocare un’Assemblea eletta rappresenti una posizione di forza. Per questo sarebbe più probante e più efficace, dal punto di vista dei compiti da svolgere, svilupparne al massimo gli organi di democrazia diretta e centralizzarli. Riprendendo il modo di procedere di Lenin, i sandinisti potrebbero allora rispondere che solo un’Assemblea costituente convocata da un governo rivoluzionario basato su un congresso nazionale dei comitati potrebbe essere qualcosa di diverso da un parlatorio propizio ai complotti e alle alleanze parlamentari contro la rivoluzione.
La rivoluzione nicaraguense deve superare numerosi ostacoli: non solo quello rappresentato dalla propria borghesia, ma anche le pressioni internazionali, senza paragone maggiori, dell’imperialismo e della burocrazia del Kremlino. La sua capacità di evitare le molteplici trappole e i vari trabocchetti dipenderà in ultima analisi dall’esistenza di un partito rivoluzionario coerente, solido e riconosciuto. Il Fronte sandinista è stato tutt’oggi l’avanguardia di questa rivoluzione. Al suo interno i militanti organizzati nella Quarta Internazionale sosterranno lealmente il proprio programma, cercando di costruire con esso il partito rivoluzionario di cui la rivoluzione ha bisogno e, attraverso esso, la sezione della Quarta Internazionale.
Traduzione dal francese di Maria Novella Pierini
Critica Comunista n° 6 Febbraio-Marzo 1980 pag. 15-31
Documents joints
- Lenin, Sul dualismo del potere, in Opere, vol. 24, Editori Riuniti, Roma, 1966, pag. 29.
- Lenin, I compiti del proletariato nella nostra rivoluzione, in Opere, vol. 24, cit., pag. 54.
- Lenin, Lettere da lontano, in Opere, vol. 23, Editori Riuniti, Roma, 1966, pag. 314.
- Ivi, pag. 321.
- Ivi, pag. 322.
- Lenin, Sui compiti del proletariato nella rivoluzione attuale (Tesi d’aprile), in Opere, voi. 24, cit., pag. 12.
- Lenin, Lettere sulla tattica, in Opere, voi. 24, cit., pag. 41.
- Lenin, Gli insegnamenti della crisi, in Opere, voi. 24, cit., pagg. 212 e segg.
- Lenin, Discorso di chiusura sulla questione del momento attuale alla VII Conferenza dei soviet, in Opere, voi. 24, cit., pagg. 245-246.
- Lenin, Sulla milizia proletaria (Terza Lettera da lontano), in Opere, vol. 23, cit., pag. 323.
- Lenin, Sui compiti del PO SDR nella rivoluzione russa, in Opere, vol. 23, cit., pag. 355.
- Lenin, Sulla milizia proletaria (Terza Lettera da lontano), in Opere, vol. 23, cit., pag. 323.
- Lenin, Sui compiti del PO SDR nella rivoluzione russa, in Opere, vol. 23, cit., pag. 355.
- Lenin, La prima fase della prima rivoluzione (Prima Lettera da lontano), in Opere, vol. 23, cit., pag. 308.
- Lenin, Il nuovo governo e il proletariato (Seconda Lettera da lontano), in Opere, vol. 23, cit., pag. 317.
- Lenin, Sulla milizia proletaria, cit.
- Lenin, Il nuovo governo e il proletariato, cit., pag. 318.
- Lenin, Rapporto sulla rivoluzione del 1905, in Opere, voi. 23, cit., pag. 248.
- Ivi, pag. 243.
- Lenin, Ai compagni che soffrono in prigionia, in Opere, vol. 23, cit., pag. 344.
- Lenin, I compiti del proletariato nella rivoluzione attuale, cit., pagg. 62-63.
- In Opere, voi. 24, cit., pagg. 92-93.
- Lenin, A proposito delle parole d’ordine, in Opere, voi. 25, Editori Riuniti, Roma, 1967, pagg. 176-177.
- Lenin, Vedono gli alberi e non la foresta, in Opere, voi. 25, cit., pag. 243.
- Lenin, La situazione politica, in Opere, vol. 25, cit., pag. 168.
- Lenin, Vedono gli alberi e non la foresta, cit., pagg. 241-242.
- Lenin, Sui compromessi, in Opere, voi. 25, cit., pag. 292.
- Lenin, Le illusioni costituzionali, in Opere, voi. 25, cit., pag. 186.
- Ibidem.
- Ivi, pagg. 188-189.
- Lenin, I bolscevichi devono prendere il potere, in Opere, voi. 26, Editori Riuniti, Roma, 1966, pag. 9.
- Lenin, Il marxismo e l’insurrezione, in Opere, vol. 26, cit., pag. 13.
- Ivi, pagg. 13 e 16.
- Cfr. Lenin, Lettera ai compagni dell’8 ottobre 1917, in Opere, vol. 26, cit., pagg. 180 e segg.
- Lenin, I compiti della rivoluzione, in Opere, voi. 26, cit., pag. 53.
- Lenin, I bolscevichi conserveranno il potere statale?, in Opere, vol. 26, cit., pag. 93.
- Lenin, Il marxismo e l’insurrezione, cit., pag. 15.
- Lenin, La rivoluzione russa e la guerra civile, in Opere, vol. 26, cit., pag. 31.
- Lenin, Tesi per il rapporto alla Conferenza dell’8 ottobre, in Opere, vol. 26, cit., pag. 129.
- Rapporto di Lenin, dal Verbale della seduta del Comitato Centrale del POSDR del 10 (23) ottobre 1917, in Opere, vol. 26, cit., pag. 175.
- Lenin, Lettera ai membri del Partito bolscevico (18 ottobre 1917), in Opere, vol. 26, cit., pag. 202.
- Lenin, Discorso sulla questione dell’Assemblea costituente – Seduta del Comitato Esecutivo Centrale dei soviet di tutta la Russia dell’I (14) dicembre 1917, in Opere, vol. 26, cit., pagg. 337-338.
- In Opere, vol. 26, cit., pagg. 361-365.
- Ivi, pag. 361.
- Lenin, Progetto di decreto per lo scioglimento dell’Assemblea costituente, in Opere, vol. 26, cit., pag. 413.
- Lenin, Discorso sullo scioglimento dell’Assemblea costituente, alla seduta del Co-mitato Esecutivo Centrale di tutta la Russia del 6 (19) gennaio 1918, in Opere, vol. 26, cit., pag. 418.
- In Opere, vol. 26, cit., pagg. 137 e segg.