Potenza del comunismo

Marx haltérophile
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Per una rilettura del Manifesto di Marx e Engels dopo i danni subiti dal Novecento

Questo testo, probabilmente uno degli ultimi scritti da Daniel, fa parte del dossier dell’ultimo numero della rivista Contretemps, di cui egli era uno dei tre direttori di pubblicazione, dedicato alla questione del comunismo (“Di che cosa il comunismo è il nome?”) collegato al convegno con lo stesso nome organizzato il 22 e 23 gennaio all’università di Parigi 8, convegno al quale Daniel teneva molto.

In un articolo del 1843 su “i progressi della riforma sociale sul continente”, il giovane Engels (appena ventenne) vedeva il comunismo come “una conclusione necessaria che si è obbligati a trarre a partire dalle condizioni generali della civiltà moderna”. Un comunismo logico insomma, prodotto della rivoluzione del 1830, nella quale gli operai “ritornarono alle fonti vive e allo studio della grande rivoluzione e si impadronirono vivamente del comunismo di Babeuf”.

Per il giovane Marx, al contrario, quel comunismo non era ancora altro che “un’astrazione dogmatica”, una “manifestazione originale del principio dell’umanesimo”. Il proletariato nascente si era “gettato nelle braccia dei dottrinari della sua emancipazione”, delle “sette socialiste”, e degli spiriti confusi che “divagano da umanisti” su “il millennio della fraternità universale” come “abolizione immaginaria dei rapporti di classe”. Prima del 1848, questo comunismo spettrale, senza un programma preciso, si aggirava per l’aria del tempo sortole forme “rozze” di sette egualitarie o di fantasticherie icariane.

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Atelier Formes Vives » align= »acheval » />Tuttavia, il superamento dell’ateismo astratto implicava già un nuovo materialismo sociale che non era altro che il comunismo: “Come l’ateismo, in quanto negazione di Dio, è lo sviluppo dell’umanesimo teorico, così il comunismo, in quanto negazione della proprietà privata è la rivendicazione della vera vita umana”. Lontano da ogni anticlericalismo volgare, questo comunismo era “lo sviluppo di un umanesimo pratico” per il quale non si trattava più soltanto di combattere l’alienazione religiosa, ma l’alienazione e la miseria sociali reali dalle quali nasce il bisogno di religione.

Dall’esperienza fondatrice del 1848 a quella della Comune, il “movimento reale” tendente ad abolire l’ordine stabilito prese forma e forza, dissipando le “idee fisse settarie” e mettendo in ridicolo “il tono da oracolo dell’infallibilità scientifica”. In altri termini, il comunismo, che fu all’inizio uno stato d’animo o un “comunismo filosofico”, trovava la sua forma politica. In un quarto di secolo, compiva la metamorfosi dai suoi modi di apparizione filosofici e utopici alla forma politica infine trovata dell’emancipazione.

1. Le parole dell’emancipazione non sono uscite indenni dalle tempeste del secolo passato. Si può dire, come degli animali della favola, che non sono tutte morte, ma che sono stati tutte colpite gravemente. Socialismo, rivoluzione, anche anarchia, non stanno affatto meglio di comunismo. Il socialismo si è impantanato nell’assassinio di Karl Liebknecht e Rosa Lu-xemburg, nelle guerre coloniali e nelle collaborazioni governative al punto di perdere ogni contenuto via via che guadagnava in estensione. Una campagna ideologica metodica è riuscita a fare identificare agli occhi di molti la rivoluzione con la violenza e il terrore. Ma di tutte le parole ieri portatrici di grandi promesse e di sogni in avanti, comunismo è quella che ha subito i maggior danni, a causa della sua cattura da parte della ragion di Stato burocratica e del suo asservimento a una iniziativa totalitaria. Resta tuttavia la questione di sapere se, di tutte queste parole ferite, ce ne sono che vale la pena riparare e rimettere in movimento.

2. Per questo, è necessario pensare che cosa è diventato il comunismo nel XX secolo. La parola e la cosa non possono rimanere fuori del tempo e delle prove storiche alle quali sono state sottoposte. L’uso massiccio del titolo comunista per designare lo Stato liberista autoritario cinese peserà a lungo, agli occhi di moltissimi, molto di più delle fragili rifioriture teoriche e sperimentali di una ipotesi comunista. La tentazione di sottrarsi a un bilancio storico critico porterebbe a ridurre l’idea comunista a “invarianti” atemporali, a farne un sinonimo delle idee indeterminate di giustizia o di emancipazione, e non la forma specifica dell’emancipazione nell’epoca della dominazione capitalista. La parola perde allora in precisione politica quanto guadagna in estensione etica o filosofica. Una delle questioni cruciali è di sapere se il dispotismo burocratico è la continuazione legittima della rivoluzione di Ottobre o il frutto di una controrivoluzione burocratica, comprovata non soltanto dai processi, dalle purghe, dalle deportazioni in massa, ma dagli sconvolgimenti degli anni trenta nella società e nell’apparato di Stato sovietico.

3. Non si inventa un nuovo lessico per decreto. Il vocabolario si forma nella durata, attraverso usi ed esperienze. Cedere all’identificazione del comunismo con la dittatura totalitaria staliniana, sarebbe capitolare davanti ai vincitori provvisori, confondere la rivoluzione con la controrivoluzione burocratica, ed escludere in tal modo il capitolo delle biforcazioni, il solo aperto alla speranza. E sarebbe commettere una irreparabile ingiustizia verso i vinti, tutti quelli e quelle, anonimi o no, che hanno vissuto appassionatamente l’idea comunista e l’hanno fatta vivere contro le sue caricature e le sue contraffazioni. Vergogna su quelli che hanno cessato di essere comunisti cessando di essere stalinisti, e che sono stati comunisti solo per il tempo in cui sono stati stalinisti!

4. Di tutti i modi di nominare “l’altro”, necessario e possibile, dell’immondo capitalismo, la parola comunismo è quella che conserva il maggiore senso storico e la maggiore carica esplosiva programmatica. È quella che meglio evoca il comune della condivisione e dell’uguaglianza, della messa in comune del potere, della solidarietà in opposizione al calcolo egoista e alla concorrenza generalizzata, della difesa dei beni comuni dell’umanità, naturali e culturali, dell’estensione di un campo di gratuità (demercificazione), dai servizi ai beni di prima necessità, contro la depredazione generalizzata del mondo.

5. È anche il nome di un’altra misura della ricchezza sociale che non la legge del valore e della valutazione mercantile. La concorrenza “libera e non falsata” si fonda su “il furto del tempo e del lavoro altrui”. Essa pretende di quantificare il non quantificabile e di ridurre alla sua miserabile comune misura, tramite il tempo di lavoro astratto, il rapporto non misurabile della specie umana con le condizioni naturali della sua riproduzione. Il comunismo è il nome di un altro criterio di ricchezza, di uno sviluppo ecologico qualitativamente diverso dalla corsa quantitativa alla crescita. La logica dell’accumulazione del capitale esige non solo la produzione per il profitto e non per i bisogni sociali, ma anche “la produzione di nuovi consumi”, l’allargamento costante del circolo del consumo “con la creazione di nuovi bisogni e con la creazione di nuovi valori d’uso”: da qui “lo sfruttamento dell’intera natura” e “lo sfruttamento della terra in tutti i sensi”. Questa smisuratezza devastatrice del capitale fonda l’attualità di un eco-comunismo radicale.

6. La questione del comunismo è anzitutto, nel Manifesto comunista, quella della proprietà. “I comunisti possono riassumere la loro teoria in quest’unica formula: soppressione della proprietà privata” dei mezzi di produzione e di scambio, da non confondere con la proprietà individuale dei beni d’uso. In “tutti i movimenti” essi “mettono avanti la questione della proprietà, a qualsiasi grado di evoluzione sia potuta pervenire […] come la questione fondamentale del movimento”. Sui dieci punti che concludono il primo capitolo, sette riguardano in effetti le forme di proprietà: l’espropriazione della proprietà fondiaria e l’impiego della rendita fondiaria per le spese dello Stato; l’instaurazione di una fiscalità fortemente progressiva; la soppressione del diritto di eredità dei mezzi di produzione e di scambio; la confisca dei beni degli emigrati ribelli; la centralizzazione del credito in una banca pubblica; la socializzazione dei mezzi di trasporto e l’istituzione di un’educazione pubblica e gratuita per tutti; la creazione di manifatture nazionali e il dissodamento delle terre incolte.

Tali misure tendono tutte a stabilire il controllo della democrazia politica sull’economia, il primato del bene comune sull’interesse egoistico, dello spazio pubblico sullo spazio privato. Non si tratta di abolire ogni forma di proprietà, ma “la proprietà privata di oggi, la proprietà borghese”, “il modo di appropriazione” basato sullo sfruttamento degli uni sugli altri.

7. Tra due diritti, quello dei proprietari all’appropriazione dei beni comuni, e quello degli spossessati all’esistenza, “è la forza che trancia”, dice Marx. Tutta la storia moderna della lotta di classe, dalla guerra dei contadini in Germania alle rivoluzioni sociali del secolo scorso, passando per le rivoluzioni inglese e francese, è la storia di questo conflitto. Questo si risolve con l’emergere di una legittimità opposta alla legalità dei dominanti.

Come “forma politica infine trovata dell’emancipazione”, come “abolizione” del potere dello Stato, come compimento della Repubblica sociale, la Comune illustra l’emergere di questa nuova legittimità. La sua esperienza ha ispirato le forme di autorganizzazione e di autogestione popolare apparse nelle crisi rivoluzionarie: consigli operai, soviet, comitati di milizie, cordoni industriali, associazioni di vicini, comuni agrarie, che tendono a de-professionalizzare la politica, a modificare la divisione sociale del lavoro, a creare le condizioni del deperimento dello Stato in quanto corpo burocratico separato.

8. Sotto il regno del capitale, ogni progresso apparente ha la sua contropartita di regressione e distruzione. Non consiste in definitiva “che nel cambiare la forma dell’asservimento”. Il comunismo esige un’altra idea e altri criteri che quelli del rendimento e della redditività monetaria. A cominciare dalla drastica riduzione del tempo di lavoro obbligato e dal cambiamento della nozione stessa di lavoro: non può esserci pieno sviluppo individuale nello svago o nel “tempo libero” finché il lavoratore rimane alienato e mutilato al lavoro. La prospettiva comunista esige anche un cambiamento radicale del rapporto tra l’uomo e la donna: l’esperienza del rapporto tra i generi è la prima esperienza dell’alterità, e fino a quando sussisterà questo rapporto di oppressione, qualsiasi essere diverso, per la sua cultura, il suo colore, o il suo orientamento sessuale, sarà vittima di forme di discriminazione e di dominazione. Il progresso autentico consiste infine nello sviluppo e nella differenzazione dei bisogni la cui combinazione originale faccia di ciascuno un essere unico, la cui singolarità contribuisce all’arricchimento della specie.

9. Il Manifesto concepisce il comunismo come “un’associazione nella quale il libero sviluppo di ciascuno è la condizione per il libero sviluppo di tutti”. Appare quindi come il massimo di un libero pieno sviluppo individuale che non va confuso né con i miraggi di un individualismo senza individualità sottomesso al conformismo pubblicitario, né con l’egualitarismo grossolano di un socialismo da caserma. Lo sviluppo dei bisogni e delle capacità singolari di ciascuno e di ciascuna contribuisce allo sviluppo universale della specie umana. Reciprocamente, il libero sviluppo di ciascuno e di ciascuna implica il libero sviluppo di tutti, poiché l’emancipazione non è un piacere solitario.

10. Il comunismo non è un’idea pura né un modello dottrinario di società. Non è il nome di un regime statale, né quello di un nuovo modo di produzione. È quello del movimento che, in permanenza, supera/sopprime l’ordine stabilito. Ma è anche l’obiettivo che, sorto da questo movimento, lo orienta e permette, al contrario delle politiche senza principi, delle azioni senza seguito, delle improvvisazioni giorno per giorno, di determinare che cosa avvicina all’obiettivo e che cosa allontana. A questo titolo non è una conoscenza scientifica dell’obiettivo e del percorso, ma un’ipotesi strategica regolatrice. Esso nomina, in modo indissociabile, il sogno irriducibile di un altro mondo di giustizia, di uguaglianza e di solidarietà, il movimento permanente che punta a rovesciare l’ordine esistente nell’epoca del capitalismo, e l’ipotesi che orienta questo movimento verso un cambiamento radicale dei rapporti di proprietà e di potere, lontano dagli accomodamenti con un male minore che sarebbe il percorso più breve verso il peggio.

11. La crisi, sociale, economica, ecologica e morale di un capitalismo che non supera più i suoi limiti se non al prezzo di una smisuratezza e di una irrazionalità crescenti, che minacciano ad un tempo la specie e il pianeta rimette all’ordine del giorno “l’attualità di un comunismo radicale” invocato da Benjamin di fronte al montare dei pericoli negli anni tra le due guerre.

Erre n° 37, 2010
www.danielbensaid.org

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